Chi non ha mai mangiato in Sicilia almeno una volta la classica “arancina”?
Da giovani, quando facevamo le “trasferta” lunghissime in Sicilia con la squadra di pallacanestro, aspettavamo il momento in cui il treno a Villa San Giovanni si imbarcava sul “ferry boat” per salire in coperta e mangiarne al bar almeno una, bella, mpurpata ‘e uoglio (intrisa di olio).
Sicuramente il sapore è diverso da lato a lato dell’isola, così come le varianti, ma l’arancina quella classica al ragù, è più o meno uguale in ogni dove.
Ora rifarla uguale mi sembrava quasi un’offesa alla tradizione della cucina siciliana, così ho provato a rivisitarla a modo mio, presentandola in una versione diversa ma di grande presenza e gusto; diciamo che l’intenzione era quella di rendere gourmet la tradizione, il risultato mi sembra interessante, poi, provare per credere.
Intanto vi lascio su una riflessione: ma si chiama “arancina o arancino”?
Per l’Accademia della Crusca non ci sono dubbi il termine esatto è “arancina”, perché ha la forma dell’arancia (frutto dell’arancio) e quindi come genere è femminile.
Il che troverebbe anche la giustificazione nelle origini di questa pietanza che si vorrebbe far risalire fra il IX e l’XI secolo al tempo della dominazione araba, visto che gli arabi appunto, avevano l’abitudine di appallottolare un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano a forma di palla, per poi condirlo con la carne di agnello prima di mangiarlo (da qui la prima forma e il primo nome).
Però poi l’Accademia della Crusca fa una serie di riflessioni a sostegno sia della tesi di chi vuole come termine arancina, sia per quelli che invece propendono per arancino fra questi Camilleri (famosi “Gli arancini di Montalbano”).
Per non parlare di chi abbina il termine alla forma e chiama arancino quello a punta e arancina quella a palla.
La Regione Sicilia come istituzione ha tagliato la testa al toro e li chiama “arancini di riso” al plurale tanto che il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani li ha inseriti così nelle pubblicazioni ufficiali.
in una pentola far sciogliere la metà del burro, aggiungere e far imbiondire lo scalogno finemente tritato e la carne macinata fino a farla colorire
aggiungere il riso e una volta perlato sfumare con il vino
regolare di sale e pepe avendo cura di aggiungere fin da subito la salsa di pomodoro; portare a cottura tutto utilizzando il brodo vegetale
nel frattempo preparare il crumble (utilizzare fette di pan carrè tritate) in una padella con un filo di olio Evo e farlo imbrunire
a cottura conclusa, mantecare con il restante burro e con il parmigiano, poi farlo riposare per qualche minuto prima di fare l'impiattamento
impiattare in questo modo: disporre qualche cucchiaio di crumble alla base del risotto oppure tutt'attorno, adagiare il risotto e aggiungere una cucchiaiata per piatto di fiordilatte tagliato a cubetti (o la burrata) al centro; e serve ancora una spolverata di pepe e un pizzico di parmigiano reggiano
Parliamo di una rivisitazione di un piatto tipico siciliano, quindi non può che essere accompagnato da un calice di vino di questa terra a scelta fra Syrah, Merlot e Nero d'Avola